com’è difficile volersi bene

La crisi di governo e il controllo sociale

Com’è difficile volersi bene

Quando la casa brucia servono tutti i pompieri: Così il senatore Fanfani esprime, con la rozza e lucida consapevolezza di un esperto padrone di casa, il senso ultimo di ogni possibile risultato della crisi istituzionale apertasi formalmente lunedì 16 gennaio.
Detto questo è però necessario analizzare aspetti e percorso di questa crisi istituzionale per comprendere la portata e l’obiettivo di alcuni aggiustamenti e scarti nella politica del “compromesso storico”, cioè nella storia del rapporto DC-PCI.
L’accordo a sei del 5 luglio ’77 ha rappresentato la codifica degli accordi politici determinatisi tra i partiti dopo il 20 giugno ’76. In esso rileviamo due aspetti: uno formale (interno alla società politica), l’altro reale (relativo al rapporto tra società politica e realtà sociale).
L’aspetto formale è quello di essere un punto di equilibrio ottimale tra i partiti dell’arco costituzionale: di essere cioè un patto che massimizza le convergenze sulle cose da fare (il programma) e minimizza le resistenze degli apparati politici dei partiti interessati. L’accordo a sei consente infatti ai due maggiori contraenti, DC e PCI, di fornire due interpretazioni che, a partire dal medesimo oggetto di accordo, divergono insanabilmente nel senso che l’una contraddice l’altra (un punto di equilibrio instabile direbbe un matematico).
La DC infatti in innumerevoli dichiarazioni dei suoi esponenti, dai più rozzi (Piccoli) ai più intelligenti (Moro), interpreta l’accordo come una sapiente tattica di imprigionamento del PCI, costretto e logorato da una pesante funzione di controllo sociale (il pompiere per eccellenza).
Il PCI all’inverso persegue l’obiettivo di un ridimensionamento della DC, come da questa citazione della Rivista Trimestrale: “Qualora si considerasse positiva e necessaria per il paese la politica di unità e di coinvolgimento con le forze della sinistra operaia, il prezzo certamente duro di una scissione a destra della DC non varrebbe a formare proprio quella opposizione che si ritiene cosi “vitale” per l’esistenza stessa della vita democratica? ’ ’.
L’aspetto reale è quello di rappresentare una combinazione di funzioni di controllo sociale che garantiscono l’applicazione di un programma di uscita dalla crisi con il massimo di stabilità sociale ed il minimo di conflitti interni alle funzioni di controllo, il che garantisce la loro coesione e la loro efficacia.
C’è infatti un rapporto molto stretto tra le articolazioni del programma e le combinazioni delle funzioni di controllo sociale, in quanto il dosaggio ad es. delle decisioni fiscali, tariffarie, monetarie, sindacali etc. incide direttamente e diversamente sulla coesione interna dei partiti che le formulano e le applicano.
La crisi dell’accordo a sei deriva dal fatto che le risorse del paese non bastano a “pagare” il consenso di una base elettorale vasta come quella dei sei partiti dell’accordo, ed introduce nel quadro politico elementi nuovi solo nel senso che tende a ricondurre ad un punto di equilibrio una situazione che vi si era discostata per l’impatto squassante che ha avuto negli ultimi mesi il conflitto sociale e la sua prevedibile dinamica.
La crisi dell’accordo a sei e del suo programma è l’incapacità di questa coalizione e del suo programma di resistere ad una tensione generatasi all’interno dei singoli partiti (e dei sindacati), tra i partiti fra loro e tra i sindacati (da una parte, come segnale, il dibattito sulle questioni organizzative del Partito Comunista pubblicato da Rinascita e il riaccendersi delle polemiche tra Pci, Psi, Dc, dall’altra le differenti posizioni all’interno del sindacato sia sui programmi sia sulla dinamica contrattuale di alcuni settori di servizi).
Le cause più rilevanti di questa tensione sono, tra le altre:
  a) la lotta sulla produttività all’interno della fabbrica (per una analisi di questo aspetto vedi “la fabbrica nascosta” a pag. ) che crea una grossa difficoltà alla “cogestione” sindacale della produzione; (l’intensificazione del lavoro, il controllo delle forme di insubordinazione stanno ripristinando in fabbrica un clima assai sfavorevole alla nuova etica sindacale del lavoro).
  b) La diminuzione di reddito colpisce direttamente gli occupati.
  c) La pressione fiscale sugli occupati nelle fascie di reddito superiori ai sei milioni, cumulate alla sterilizzazione parziale o totale della contingenza, ha raggiunto una soglia critica. (I lavoratori dipendenti colpiti dal blocco della contingenza hanno largamente superato i due milioni di unità).
  d) Il controllo della spesa pubblica si scarica sull’erogazione di reddito da parte dello stato colpendo od ovviandosi a colpire dipendenti pubblici e pensionati.
Occorre dunque un riequilibrio nella coalizione delle funzioni di controllo sociale e una riarticolazione del programma che sia con essa compatibile, questo è il motivo dell’indurimento del Pci.
Anche in questa ricerca di un nuovo punto di equilibrio possiamo distinguere un aspetto formale ed uno reale.
L ’aspetto formale è quello di una associazione esplicita del Pci alla maggioranza e/o al governo, esplicitazione che produce le reazioni negative dell’ultimo periodo negli ambienti nazionali ed internazionali collegati alla Dc. Esplicitazione necessaria però a rivalorizzare la politica dell’accordo per il quadro militante del Pci, e che ha dunque una funzione tesa a diminuire la tensione interna al partito.
Un aspetto reale, più rilevante del precedente, che consiste in primo luogo in una riarticolazione di alcuni aspetti del programma che consentano di spostare su settori sociali differenti da quelli controllati direttamente e/ o elettoralmente dal Pci, alcuni dei costi della politica dei sacrifici; in secondo luogo in una direzione effettiva da parte dell’apparato del Pci di alcuni punti cruciali della macchina statale (la classe operaia che si fa stato nella recente elaborazione degli ex-operaisti).
Quest’ultimo aspetto ha il duplice scopo di assicurare, come dichiara esplicitamente il Pci, l’effettiva applicazione del programma dell’accordo a sei e di fornire, in termini di conquista dell’apparato dirigenziale e intermedio dello stato una prospettiva realistica e motivante al proprio personale politico. Se questi sono gli aspetti che caratterizzano il nuovo “governo di emergenza” è già possibile delineare gli aggiuntivi elementi di destabilizzazione che il raggiungimento di un nuovo punto di equilibrio recherà con sè.
L’associazione esplicita, in qualunque forma avvenga, del Pci al governo porterà infatti come conseguenza sia un’accresciuta dinamica di rivendicazioni, come già avvenuto nelle amministrazioni “rosse”, sia l’individuazione, esplicita da parte proletaria del Pci come controparte. Inoltre il tentativo di meglio redistribuire i costi della crisi si scontrerà probabilmente sia con la rigidità dei vincoli economici, sia con la crescente omogeneità del corpo elettorale del Pci e della Dc.